Diario di una ciclista schiappa

Una cosa bisogna dirla. I lunghi mesi di quarantena ai quali siamo stati costretti in questo 2020, ci hanno fatto riscoprire l’importanza di molte cose che davamo per scontate o avevamo dimenticato. Tra queste, c’è la “riscoperta” del lato sportivo sepolto molto a fondo in alcuni di noi. Il senso di colpa per non andare in palestra è scomparso magicamente dalle nostre vite, perché le palestre sono state chiuse la maggior parte dell’anno. Contemporaneamente però molte persone hanno ritrovato il piacere di fare attività fisica all’aperto, anche quelli che non hanno mai sentito l’esigenza di muoversi fino alla quarantena e che un noto politico campano ha definito “cinghialoni”.

Per quanto mi riguarda, sopravvissuta al primo lockdown con programmi di fitness seguiti in un angolo del salotto tra la tv e il divano (sempre grandi tentatori), recentemente, tra un dpcm e l’altro, oltre alle fugaci gite in montagna, mi sono ritrovata in sella a una bici per fare un po’ di turismo locale. Ho iniziato così a esplorare nuove porzioni di mondo a due passi dalla città in cui ho vissuto per anni, Torino, e più precisamente in Canavese.

Questa nuova esperienza sportiva, sempre condotta a “livello schiappa” (ci tengo a non eccellere in nulla), mi ha fatto capire delle cose.
Se siete curiosi di sapere quali, proseguite la lettura dell’articolo. Altrimenti cliccate sui link qui in basso e sarete catapultati nel viaggio lento tra laghi, colline e storia del cosiddetto Anfiteatro Morenico d’Ivrea.

CANAVESE IN BICI: SU E GIU’ PER LA MORENA SUD
STORIA E SALITE: IN BICI SULLA SERRA D’IVREA

BICI-SCHIAPPA: GLI IPSE DIXIT

I veri ciclisti odiano le e-bike. Prima di attivare pensieri di ammirazione verso la mia nuova avventura sportiva, ci tengo a dire questa cosa che farà rabbrividire qualsiasi ciclista professionista, ma anche quelli non professionisti che comunque si spaccano di salite e fatica a livello amatoriale. La cosa è che per tutta una serie di motivi, anche non direttamente connessi alla mia scarsa prestanza fisica, ho iniziato i miei vagabondaggi su una bici elettrica. Sì. Proprio lei: l’e-bike.

La tanto discussa e-bike ha il merito di dare una chance sportiva anche a quelli che sportivi non lo sono tanto o non lo sono più…e soprattutto a quelli che non lo saranno mai. Come me, per l’appunto. Ma il punto non è tanto il sentirsi sportivi. A mio parere, questo mezzo dà la possibilità a chi non può (perché non ce la fa) di macinare comunque chilometri, salire e scendere colli e monti e, quindi, esplorare e godersi le bellezze del territorio che altrimenti si perderebbe.
Questa è la nota positiva.
La nota negativa è che il ciclista-schiappa deve farsi carico dell’astio dei ciclisti-veri, che guardano sempre con aria di compassione, disprezzo e, a volte, si sentono in dovere di sbeffeggiare la povera schiappa. Il vero ciclista, infatti, si sente preso in giro da chi procede serenamente in salita aiutato da un motore, mentre lui sputa sangue per la fatica.
Quello che però il ciclista-vero non sa è che al ciclista-schiappa non frega niente di sentirsi un vero sportivo, di competere, di porsi degli obiettivi di fatica e di sentirsi un figo. Il ciclista-schiappa semplicemente risponde al desiderio di “andare a caso”. Se vogliamo, la bici elettrica è una sorta di mezzo democratico dello sport.

Vialfrè

In e-bike si può fare fatica. L’altra cosa che alcuni non sanno è che con l’e-bike si può fare fatica. Non è detto infatti che il ciclista-schiappa sia schiappa al punto tale da procedere sempre in modalità TURBO. Io, per esempio, spinta da un moto di dignità e senso di colpa, regolo la bici in modalità ECO, cioè con la potenza minima di aiutino. E vi assicuro che in salita faccio fatica, sudo e il giorno dopo ho male alle gambe.

Senza mutande. Un’altra scoperta che ha cambiato la mia visione sul mondo del ciclismo è che i ciclisti-veri indossano pantaloncini sportivi senza le mutande. Ovviamente questo abbigliamento è pensato apposta per questo tipo di sport e per questa modalità di utilizzo, ma per chi non è del mestiere credo sia assolutamente disturbante l’idea che si possa indossare un paio di pantaloni senza l’intimo. Da quel giorno ho chiamato i ciclisti, maschi e femmine, i “senza mutande”.

Agliè

Una rampetta, un rilancio. Queste parole, all’apparenza innocue, nascondono una trappola. Nelle mie peregrinazioni da schiappa, accompagnata dal mio personal trainer ciclista-vero, arriva sempre il momento: “Adesso c’è una rampetta, un rilancio”. Questo significa solo una cosa: che si sale. Anche se penso di aver raggiunto il mio massimo di salita tollerabile, a un certo punto capisco che si può salire ancora e che la rampettina è sempre più lunga di quello che spero. In questi attimi, mentre sono assorta nella valutazione delle mie speranze di vita, mi sento sempre urlare: “Cambiaaaaaa!”. Sapere usare il cambio è fondamentale. Io non è che lo abbia capito, ma spesso me ne dimentico.

Dopo queste perle di saggezza, vi lascio la gioia di leggere i primi due itinerari pensati, anche e non solo, per i ciclisti umili in e-bike. Per chi fosse curioso di provarli, c’è anche il link al quale scaricare la mappa del percorso. Ma quanto sono professionale?

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SCARICA L’ITINERARIO QUI!

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Dedico questo articolo a G.G., mio motivatore e tour operator ciclista-vero.

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