Montagna Schiappa, ipse dixit

Dopo la presa di coscienza mistica avvenuta durante il capodanno del 2019, ho iniziato a fare quelle cose per cui provavo ribrezzo ma che mi sarebbero state utili per scopi più alti…tipo iscrivermi in palestra e correre intere mezz’ore sul tapis roulant, riesumando un outfit ginnico che ormai era entrato a far parte del cassetto-vintage-pigiama.

Per fortuna, oltre a interfacciarmi con il magico mondo della palestra per allenare il fiato, sono riuscita a inserire nella mia nuova “dieta di vita” anche un po’ di attività fisica all’aperto. Ancora traumatizzata delle fatiche eroiche sulle montagne friulane, schivavo gli inviti degli amici “montagnini senza paura”. Ma, fortunatamente, ho trovato presto un’alleata ideale: femmina, collega, quasi coetanea e interessata a godersi i piaceri della montagna senza necessariamente morire di fatica.

E’ con lei che nacque la “montagna schiappa philosophy”, alla quale presto si sono uniti altri compagni di avventure:

  • Trekking lento, prudente, con pause intermedie per ammirare il paesaggio, fare amicizia con gli animali e prendere fiato;
  • Muoversi solo con la certezza di una meta culinaria: polenta concia, con spezzatino, salsiccia, magari un bel tagliere con salumi e affettati locali e, perché no, un po’ di vinello per scaldare il cuore. E poi giù…rotolando per il pendio con la pancia piena;
  • Restare umili, ma in un posto figo (cit. Pagante). Affrontare la salita con umiltà…crederci sì, ma non troppo quindi;
  • Dedicarsi allo shopping di qualità negli alpeggi lungo il tragitto.

Durante le nostre avventure di basso profilo abbiamo imparato delle cose. Tra queste, abbiamo estrapolato una sorta di ipse dixit:

In salita non credere mai. In salita non bisogna chiedere mai, alle persone che provengono dal senso opposto, informazioni riguardo la durata del percorso rimanente. Sapete, la classica domanda per cercare conforto quando la meta non si palesa nel tempo sperato: “Quanto manca?”. Non importa che tu sia all’inizio del tragitto o che manchi più di un’ora. A questa domanda ogni camminatore risponderà: “Mezz’ora”, oppure la variante “Mezz’oretta”. Provateci, è sempre così. E, ovviamente, con il cavolo che manca mezz’ora.
Le prime volte ci credevamo…ingenue. Poi, quando la mezz’ora passava e magari passava anche l’ora, le speranze decadevano lasciando spazio alla disperazione. Non ci abbiamo mai più creduto. Ma continuiamo a chiederlo per scopi statistici.

Poi spiana. Anche questa menzogna è tipica dei camminatori che si incontrano durante il tragitto in salita. Appena ti vedono con la faccia viola, il fiato spezzato e l’ espressione piena di sconforto a causa di quanto detto nel punto precedente, senza che tu abbia domandato nulla ti dicono: “Poi spiana”. Nel senso di…la salita finirà e tutto sarà più semplice. Una menzogna paragonabile al tanto famoso “andrà tutto bene” durante una pandemia o “verranno tempi migliori” quando stai passando davvero un periodo di cacca. Insomma, la classica frase di cortesia e incoraggiamento alla “volemose bene, peace and love, l’importante è crederci”. Diffidate. Durante il tragitto di andata non spiana quasi mai, a meno che tu non sia giunto all’arrivo.

Mai compararsi con gli escursionisti-pro. Meglio non fare questo errore. Inutile credere di poter competere o arrivare al livello degli escursionisti esperti, di qualsiasi età o genere. ESSI sono probabilmente nati oltre i 1.000 metri sopra il livello del mare, andavano a scuola a piedi percorrendo chissà quanti km per raggiungere un centro abitato, nel tempo libero mungevano le mucche. ESSI sono quelli che spingono il più possibile per raggiungere la meta in breve tempo, non si muovono se non hanno almeno 1.000 metri di dislivello da percorrere e, in discesa, corrono leggiadri come caprette, quasi come se i loro arti inferiori avessero le giunture di gomma. ESSI non hanno bisogno del rifugio, di ingerire calorie e attaccarsi al respiratore quando arrivano alla meta. Possono anche digiunare, cibandosi solo della bellezza del modo ammirato da una vetta.
Ecco.
ESSI non sono noi. Quindi inutile guardarli con invidia e ammirazione. Inutile, anche se inevitabile, sentirsi delle micro caccoline quando per sbaglio ci si imbatte nei loro racconti di imprese eroiche o si ascoltano affermazioni del tipo: “Oggi solo 1.000 metri di dislivello in un’oretta, perché mi sono rotto una gamba e sto facendo riabilitazione”.


Essi non sono noi, filosofe della montagna schiappa. Tanto vale farsene una ragione e godersi il viaggio con lentezza e umiltà.

Segui le nostre avventure nei prossimi articoli!

Dedico questo articolo a Silvia, compagna di montagna schiappa, e Marco, escursionista livello-pro e motivatore.

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