Sicuramente i viaggi più hard-core (ovvero estremi) della mia vita li ho fatti in Bolivia. Ore e ore in autobus comodi e silenziosi come frullatori in azione, che attraversavano la notte del gelido altipiano andino.
Io e la mia compagna di avventure eravamo studentesse universitarie senza molti fondi economici, quindi non volevamo mai spendere quei centesimi di euro in più per viaggiare in pullman turistici, vagamente più invitanti. Perché mai? Noi, perfettamente integrate nel contesto boliviano, sceglievamo sempre i bus di linea da comuni cittadini boliviani. Tra di loro, tra l’altro, c’erano sempre donne con tre o quattro figli, le quali compravano solo un biglietto e poi disponevano la prole a dormire a terra lungo il corridoio tra i sedili. In barba alle norme di sicurezza. Più che un viaggio sembrava una prova di sopravvivenza.

Quando io e la mia amica non riuscivamo ad ottenere posti vicini, si sperava sempre che il nostro vicino di sedile non fosse troppo grosso, troppo odoroso o troppo rumoroso. Che poi è la stessa ansia che ti coglie in qualsiasi angolo di mondo, quando prendi l’aereo e speri di non avere seduto dietro un bambino urlante, o quando sei al cinema e preghi che non si sieda davanti a te una persona troppo alta. E poi succede.
Solo che in Bolivia c’era anche una discreta componente “splatter”.
Ora vi spiego perché.
Ogni volta che si lasciava La Paz, si attraversava una specie di “casello” in cui i militari facevano controlli. Proprio in quel punto, c’erano decine di chioschetti di cholitas che vendevano qualsiasi genere alimentare, facendolo passare direttamente attraverso i finestrini del bus: dalle comuni patatine e cola, a sacchetti di plastica contenenti brodo di pollo appena cucinato, oppure qualche succo che gli esperti consumatori boliviani succhiavano da una cannuccia che usciva dal sacchetto. Altro che consegna rapida dei fast food! Parola d’ordine efficienza!
Il viaggio quindi iniziava con una bella cena di riso, pollo e brodo on the road . Dopo essersi ingozzati come se non ci fosse un domani, i passeggeri proseguivano più serenamente… Fino a quando, tra le infinite curve, la gente iniziava a sentirsi male e a vomitare direttamente dai finestrini.

Un altro momento poco digeribile era quello del bagno. A metà percorso, nel cuore della notte, il bus si fermava e lasciava la possibilità ai viaggiatori erranti di fare i propri bisogni afuera. E quando dico afuera, intendo proprio all’aria aperta. Tutti scendevano dal pullman come assonnati zombi e, camminando lentamente, sparivano nel buio. Si sentivano allora solo rumori.
Tra questi viaggi hard-core verso direzioni meravigliose, c’è stato quello per il Salar de Uyuni, il deserto di sale più grande al mondo.

Il tragitto verso Uyuni, la cittadina da dove partono numerosi tour per il deserto, è stato abbastanza pittoresco ed è sicuramente rimasto nel mio cuore. Da La Paz ci sono volute circa 15 ore di movimentato viaggio notturno. A un certo punto della notte, l’autobus si è fermato. L’autista ha iniziato a gridare svegliando tutti i viaggiatori dormienti: “Fuoriiiiii!Fuoriiii tutti!” gridava.
Intontiti e infreddoliti, avvolti in coperte che venivano fornite per sopravvivere al gelo, siamo scesi tutti con aria perplessa. E fu allora che abbiamo scoperto che il gigantesco bus a due piani si era impantanato in una specie di fanghiglia simile alle sabbie mobili. “Y ahora, todos a empujar!”, ha ordinato autoritario l’autista. “E ora tutti a spingere!”. Decine di persone ancora intorpidite dal sonno, la gran parte costituita da turisti, hanno quindi messo insieme le forze e hanno iniziato a spingere l’autobus sbloccandolo dalla sua trappola terrosa.
Scene surreali, ma del tutto normali.
Tra la Bolivia e il Perù di itinerari in bus ne ho percorsi molti: faticosi, lunghi, scomodi. Ma una cosa è certa, ne è sempre valsa la pena. A parte che, se la si prende con filosofia, tutte le cose che sembrano strane, tipo trovarsi a viaggiare insieme a maiali o a galli da combattimento, diventano parte del divertimento. E’ un divertimento che i tour organizzati da agenzie turistiche quasi sicuramente non possono riproporre. Anche se a volte sono più faticosi, sono viaggi che aiutano a crescere e ad aprire la mente.
Partiamo quindi per un tour di tre giorni nella più grande distesa salata della Terra…il Salar de Uyuni!
CONTINUA…
THANKS…Alcune foto presenti in questo articolo sono state prese in prestito dalla mia compagna di viaggio Daniela.
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