Babbo Natale non esiste. Ho iniziato a odiare il Natale quando avevo 6 anni. Mia madre era entrata in camera mentre stavo giocando e, dopo anni in cui insieme a mio papà architettava ingegnose scenografie domestiche per farmi credere che un tale signore Babbo Natale passasse sul serio a casa mia a lasciare regali, non ce l’ha più fatta e ha confessato: “Guarda che Babbo Natale non esiste”. E poi se ne è andata richiudendo la porta. Ero stata vittima di un complotto.
Io a Babbo Natale ci credevo eccome. Ci credevo non solo perché mangiava la cena che lasciavo per lui la sera prima, non solo perché da bambina atea convinta avevo bisogno di qualcosa in cui credere. Ma soprattutto ci credevo perché da figlia di una casalinga e un operaio in cassa integrazione sapevo bene che tutti quei preziosissimi regali la mia famiglia non se li sarebbe potuti permettere. E a dire il vero Babbo Natale mi faceva anche un po’ paura…alla fine era un uomo sconosciuto che trovava il modo di entrare in casa con un sacco di roba senza fare rumore. Io, cresciuta a pane e Telefono Giallo, mi chiudevo a chiave in camera “che non si sa mai”.
Dopo il trauma della scoperta della non-esistenza di Babbo Natale, tutto cambiò in peggio. Quella festività non aveva più tanto senso, iniziai a odiare il Natale e forse anche il Natale iniziò a odiare me.

Educazione all’umiliazione. Natale era il momento in cui, all’asilo e alle scuole elementari, arrivava tragicamente il momento della recita. Io ero una bambina timida e abbastanza sociopatica, pertanto vivevo quelle esibizioni sul palco, davanti a una platea di genitori muniti di telecamera e macchina fotografica, come un affronto alla mia dignità e alla mia integrità psichica. Per fortuna grazie al mio caratteraccio e alle manie di protagonismo assolutamente assenti, mi toccavano sempre parti marginali durante lo spettacolo. Due frasi messe in croce pronunciate con un filo di voce, poi tentavo di sparire incollandomi alla parete. Una volta, all’asilo, avevo provato anche ad alzare la voce e a ribellarmi: “Io non la voglio fare la recita di Natale!”. Ovviamente, le maestre si risentirono e mia madre mi ci mandò a calci nel sedere. Mi ci avrebbe mandata a calci nel sedere anche con la febbre a 40.
Qualche anno dopo scoprii il perché. Quei filmati e quelle foto sono stati conservati per anni, mostrati agli amici, ai fidanzatini, ai parenti. Sono ancora lì in agguato nel mobile del salotto e sono stati usati come ricatto o arma di distruzione di massa. Le recite di Natale forse rientrano in un piano educativo più ampio: l’educazione all’umiliazione pubblica.


Il giorno del giudizio. A proposito di adolescenza e fidanzati, l’ansia da prestazione del Natale mi ha perseguitata anche nel corso dell’età quasi adulta.
Il Natale in adolescenza è stato di certo uno dei periodi peggiori. All’epoca tutti gli anziani di famiglia erano ancora vivi e ci si riuniva per grandi abbuffate di giorni ed ore. Nei giorni precedenti c’era la carovana degli auguri, visite interminabili a tutti i parenti del circondario, quelli che si vedevano solo in quell’occasione e che tendenzialmente parlavano di morti, malattia ed emorroidi.
Durante il pranzo natalizio le mie cugine, quasi mie coetanee, ci sottoponevano alla sfilata dei rispettivi fidanzati che, come i re magi, portavano doni di alto livello al suocero compiacente. Io ovviamente ero sempre sola, minore-non accompagnata, non solo perché davvero non riuscivo a trovare qualcuno che mi volesse, “maschiaccia” com’ero. Anche se avessi avuto qualcuno non lo avrei portato al pranzo di famiglia, neanche sotto tortura!
I momenti più divertenti a mio parere erano le litigate tra mia zia zitella (della quale mi sento diretta discendente) e mia nonna. Una volta fui testimone di un lancio di una coscia di pollo che manco alle olimpiadi.
Comunque la cosa peggiore era che il periodo di Natale si trasformava in una specie di giorno del giudizio, durante il quale venivo interrogata sui miei successi scolastici/universitari/lavorativi e, soprattutto, sui miei insuccessi sentimentali.
“Ce l’hai il fidanzatino?”
“No, nonna.”
“Ma quand’ è che ti fermi un po’ e ti sposi??”
(mai??)
“Ormai hai quasi 20/25/30 anni…”
(Eh…)
“Possibile che non riesci a trovare un lavoro?”
(Eh…)
“Non vedrò mai nascere i tuoi figli, tuo padre non avrà mai dei nipoti…”
(!!!)
“Ma cos’è che hai studiato tu? Ma che roba eh? Ma non potevi fare qualcosa di più utile? Era meglio se ti mettevi a zappare.”
(Eh…)
“25/30 anni buttati nel cesso.”
Finale drammatico per incolparti dell’infelicità di tutta la tua famiglia. Come se l’assenza di un lavoro stabile e il non essermi creata una famiglia fosse una colpa personale, frutto di una decisione ben precisa per creare dolore e confusione cosmica.


The dark side of Natale. Nell’età adulta, dopo le mie peregrinazioni per il mondo e prima di avere un lavoro “vero” stabile, sono entrata in contatto con il lato più tremendo del Natale…the dark side of Natale: il lato capitalista. Avevo trovato lavoro in un centro commerciale e già la situazione era alquanto drammatica per me, visto che io sono sempre stata allergica allo shopping e ai negozi. Facevo la cassiera in un megastore dove, per l’appunto, si vendevano anche decorazioni natalizie e soprattutto si imballavano, una a una, palline di Natale di qualsiasi tipo. Essere costantemente in contatto con la frenesia consumista del Natale, vedere persone completamente ossessionate dalla ricerca di regali e pronte a spendere l’equivalente del mio stipendio in decorazioni natalizie (probabilmente per colmare un vuoto esistenziale di altro tipo)…forse tutto questo mi ha fatto capire che non sono io la strana, ma sono “gli altri” ad avere un problema con il Natale.
Non sono io a odiare il Natale. È il Natale che odia noi.
SE I MIEI ARTICOLI TI PIACCIONO, SEGUI LA MIA PAGINA FACEBOOK E LA MIA PAGINA INSTAGRAM!